C'è il Padre Don Giovanni che ti vuole salutare". Così il fratello autista religioso bussando alla porta della canonica di Domegliara. Corro subito con gioia, il Padre don Calabria, seduto a bordo, mi apre lo sportello; mi avvicino, mi stringe le mani e mi parla, come sempre dolcemente e paternamente, chiedendomi: "Come va?". E poi soggiunge: "Conosci padre Filippo?" Vai a trovarlo ed aiutalo in quello di cui ha bisogno. Sai, è un santo prete!". Così è nata la mia relazione cara ed indimenticabile con Padre Filippo Bardellini. Il mio incontro con lui è stato sorprendente per me: mi accoglie sorridente e con tanta cordialità, gode sentire che sono ex-allievo dell'Istituto Don Calabria e mi dice: "Vieni sempre, la mia casa è sempre per te!". Ecco allora le mie prime prestazioni sacerdotali: confessioni, ritiri ed esercizi spirituali. E padre Filippo era contento e riconoscente. Cosa mi ha colpito di più in padre Filippo? La sua semplicità, la profondità della sua umiltà, la serenità del suo spirito allegro, spirito filippino, le sue battute spiritose che rendevano gioviale e simpatica la sua persona, buono e generoso il suo animo, fervente il suo spirito di preghiera; profondo, costante e gioioso era il respiro della sua anima. Era convinto che senza umiltà non c'è santità. Ripeteva spesso: "Non tutti i Santi sono scienziati, ma tutti i santi sono umili". Aveva un senso profondo e radicato della carità, quell'amore che era prima di tutto verticale, cioè si ispirava all'amore di Dio, sentito ed amato come Padre, del quale respirava la sua paternità caritatevole verso tutti, ecco perché la sua preghiera preferita era il "Padre Nostro", amore che diventava accogliente, premuroso, sacrificato e donato soprattutto a quelle creature che lo Spirito del Signore gli aveva affidato per esserne padre e strumento vivo e operativo della carità.
Era bello e significativo vederlo in carrozzina nel cortile in mezzo ai ragazzi ed alle ragazze disabili accolti nel suo Istituto, e dei quali era solito dire: "Sono le colonne che sostengono la mia opera". Il padre Filippo si intratteneva nel corso della giornata a parlare ed a scherzare con loro, ricorrendo a qualche allegra battuta per farli sorridere. E' qui la "profezia" del prete dell'Oratorio. Pur essendo la carità cristiana universale, egli toccato dallo Spirito Santo, come scrive S. Paolo, dal "Caritas Christis urget nos", divenne un antesignano in un campo di assistenza, non ancora evidenziato come ai nostri giorni, nella progettualità caritatativa verso queste creature ritardate. Ma la carità, perché sia feconda, ha bisogno del suo nutrimento spirituale, che è la preghiera congiunta alla sofferenza. Padre Filippo ha conosciuto il soffrire: sofferenza del cuore, nelle incomprensioni, nelle disattenzioni e anche nel giudizio, sofferenza fisica che l'ha accompagnato sempre, ed ultimamente reso impotente a muoversi, pur conservando la serenità di spirito spiccatamente sempre presente.
La componente essenziale della sua vita e delle sua opera si è configurata nel suo abbandono filiale nella Divina Provvidenza, che deriva dal senso della Paternità di Dio. La sua opera è nata nella Provvidenza e con la Provvidenza ha continuato e continua anche oggi. "Io non penso niente della mia opera - diceva - io l'ho messa nelle mani della Provvidenza". E ancora diceva alle Sorelle religiose: "Bisogna che la nostra opera sia vista solo da Dio, e solo questo ci basta! Nessuna pubblicità: ci penserà Dio a farla conoscere. Fa molto chi fa la volontà di Dio, mi piace solo di piacere a Dio". Questo io lo leggevo nei suoi occhi limpidi, aperti, penetranti nello spirito, ma nello stesso tempo ispiranti serenità, amabilità, freschezza spirituale, fiducia, sicurezza e pace. Uomo di Dio che con la santità contamina e attira gli spiriti umani. Chi ha conosciuto padre Filippo, ha sperimentato questo!
don Nicola Azzali,